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DOCUMENTI PONTIFICI

 

PAOLO VI

PACIS NUNTIUS

LETTERA APOSTOLICA

SAN BENEDETTO ABATE VIENE PROCLAMATO
PATRONO PRINCIPALE DELL'INTERA EUROPA

A PERPETUA MEMORIA

Messaggero di pace, realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in Occidente: questi i giusti titoli della esaltazione di san Benedetto Abate. Al crollare dell'Impero Romano, ormai esausto, mentre alcune regioni d'Europa sembravano cadere nelle tenebre e altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu lui con costante e assiduo impegno a far nascere in questo nostro continente l'aurora di una nuova èra. Principalmente lui e i suoi figli portarono con la croce, con il libro e con l'aratro il progresso cristiano alle popolazioni sparse dal Mediterraneo alla Scandinavia, dall'Irlanda alle pianure della Polonia (Cf AAS 39 (1947), p. 453). Con la croce, cioè con la legge di Cristo, diede consistenza e sviluppo agli ordinamenti della vita pubblica e privata. A tal fine va ricordato che egli insegnò all'umanità il primato del culto divino per mezzo dell'«opus Dei», ossia della preghiera liturgica e rituale. Fu così che egli cementò quell'unità spirituale in Europa in forza della quale popoli divisi sul piano linguistico, etnico e culturale avvertirono di costituire l'unico popolo di Dio; unità che, grazie allo sforzo costante di quei monaci che si misero al seguito di sì insigne maestro, divenne la caratteristica distintiva del Medio Evo.

Questa unità che, come afferma sant'Agostino, è «esemplare e tipo di bellezza assoluta» (Cf Ep. 18, 2: PL 33, 85), purtroppo spezzata in un groviglio di eventi storici, tutti gli uomini di buona volontà dei tempi nostri tentano di ricomporre. Col libro, poi, ossia con la cultura, lo stesso san Benedetto, da cui tanti monasteri attinsero denominazioni e vigore, salvò con provvidenziale sollecitudine, nel momento in cui il patrimonio umanistico stava disperdendosi, la tradizione classica degli antichi, trasmettendola intatta ai posteri e restaurando il culto del sapere. Fu con l'aratro, infine, cioè con la coltivazione dei campi e con altre iniziative analoghe, che riuscì a trasformare terre deserte e inselvatichite in campi fertilissimi e in graziosi giardini; e unendo la preghiera al lavoro materiale, secondo il suo famoso motto «ora et labora», nobilitò ed elevò la fatica umana. Giustamente perciò Pio XII salutò san Benedetto «padre dell'Europa» (Cf AAS loc. mem.); in quanto ai popoli di questo continente egli ispirò quella cura amorosa dell'ordine e della giustizia come base della vera socialità. Lo stesso Predecessore Nostro desiderò che Dio, per i meriti di questo grande santo, assecondasse gli sforzi di quanti cercano di affratellare queste nazioni europee. Anche Giovanni XXIII, nella sua paterna sollecitudine, desiderò vivamente che ciò avvenisse.

È quindi naturale che pure Noi, a questo movimento, tendente al raggiungimento dell'unità europea, diamo il Nostro pieno assenso. Per questo abbiamo accolto volentieri le istanze di molti Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, Superiori Generali di Ordini religiosi, Rettori di Università e di altri insigni rappresentanti del laicato di varie nazioni europee per dichiarare san Benedetto Patrono d'Europa. E per questa solenne proclamazione Ci si presenta quanto mai opportuna la data di oggi in cui riconsacriamo a Dio, in onore della Vergine santissima e di san Benedetto, il tempio di Montecassino che, distrutto nel 1944 durante il terribile conflitto mondiale, è stato ricostruito dalla tenacia della pietà cristiana. Il che facciamo ben volentieri, ripetendo il gesto di alcuni Nostri Predecessori, che personalmente vollero procedere nel corso dei secoli alla dedicazione di questo centro di spiritualità monastica, reso famoso dal sepolcro di san Benedetto. Sia dunque un così insigne santo ad esaudire i nostri voti e, come egli un tempo con la luce della civiltà cristiana riuscì a fugare le tenebre e a irradiare il dono della pace, così ora presieda, all'intera vita europea e con la sua intercessione la sviluppi e l'incrementi sempre più.

Pertanto, su proposta della Sacra Congregazione dei Riti, dopo attenta considerazione, in virtù del Nostro potere apostolico, con il presente Breve e in perpetuo costituiamo e proclamiamo san Benedetto Abate celeste Patrono principale dell'intera Europa, concedendo ogni onore e privilegio liturgico, spettante di diritto ai Protettori primari. Nonostante ogni disposizione in contrario. Questo rendiamo noto e stabiliamo, decidendo che la presente Lettera resti valida ed efficace, che ottenga i suoi pieni ed integrali effetti e sia rispettata da quanti essa riguarda o riguarderà in futuro; così pure sia ad essa conforme qualunque giudizio o definizione; e fin d'ora sia invalido qualunque atto contrario da chiunque e da qualunque autorità fosse posto, coscientemente o per ignoranza.

Dato a Roma, presso San Pietro, i1 24 ottobre dell'anno 1964, secondo del Nostro Pontificato.

PAOLO PP. VI

LETTERA APOSTOLICA
EGREGIAE VIRTUTIS
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
PER LA PROCLAMAZIONE DEI
DEI SANTI CIRILLO E METODIO
COMPATRONI D'EUROPA

 

1. Alle illustri figure dei santi Cirillo e Metodio si rivolgono di nuovo i pensieri ed i cuori in quest'anno in cui ricorrono due centenari particolarmente significativi. Si compiono infatti cent'anni dalla pubblicazione della lettera enciclica «Grande Munus» del 30 settembre 1880, con la quale il grande pontefice Leone XIII ricordava a tutta la Chiesa le figure e l'attività apostolica di questi due santi e, al tempo stesso, ne introduceva la festività liturgica nel calendario della Chiesa cattolica (Leonis XIII «Acta», vol. II, pp. 125-137). Ricorre inoltre l'XI centenario della lettera «Industriae Tuae» (cfr. «Magna Moraviae Fontes Historici», t. III, Brno 1969, pp. 197-208), inviata dal mio predecessore Giovanni VIII al principe Svatopluk nel giugno dell'anno 880, nella quale veniva lodato e raccomandato l'uso della lingua slava nella liturgia, affinché «in quella lingua fossero proclamate le lodi e le opere di Cristo nostro Signore» (cfr. «Magna Moraviae Fontes Historici», t. III, Brno 1969, p. 207).

Cirillo e Metodio, fratelli, greci, nativi di Tessalonica, la città dove visse e operò san Paolo, fin dall'inizio della loro vocazione, entrarono in stretti rapporti culturali e spirituali con la Chiesa patriarcale di Costantinopoli, allora fiorente per cultura e attività missionaria alla cui alta scuola essi si formarono (cfr. «Costantinus et Methodius Thessalonicenses, Fontes»). Entrambi avevano scelto lo stato religioso unendo i doveri della vocazione religiosa con il servizio missionario, di cui diedero una prima testimonianza recandosi ad evangelizzare i Cazari della Crimea.

La loro preminente opera evangelizzatrice fu, tuttavia, la missione nella Grande Moravia tra i popoli, che abitavano allora la penisola balcanica e le terre percorse dal Danubio; essa fu intrapresa su richiesta del principe di Moravia Roscislaw, presentata all'imperatore e alla Chiesa di Costantinopoli. Per corrispondere alle necessità del loro servizio apostolico in mezzo ai popoli slavi tradussero nella loro lingua i libri sacri a scopo liturgico e catechetico, gettando con questo le basi di tutta la letteratura nelle lingue dei medesimi popoli. Giustamente perciò essi sono considerati non solo gli apostoli degli slavi ma anche i padri della cultura tra tutti questi popoli e tutte queste nazioni, per i quali i primi scritti della lingua slava non cessano di essere il punto fondamentale di riferimento nella storia della loro letteratura.

Cirillo e Metodio svolsero il loro servizio missionario in unione sia con la Chiesa di Costantinopoli, dalla quale erano stati mandati, sia con la sede romana di Pietro, dalla quale furono confermati, manifestando in questo modo l'unità della Chiesa, che durante il periodo della loro vita e della loro attività non era colpita dalla sventura della divisione tra l'oriente e l'occidente, nonostante le gravi tensioni, che, in quel tempo, segnarono le relazioni fra Roma e Costantinopoli.

A Roma Cirillo e Metodio furono accolti con onore dal Papa e dalla Chiesa romana e trovarono approvazione e appoggio per tutta la loro opera apostolica ed anche per la loro innovazione di celebrare la liturgia nella lingua slava, osteggiata in alcuni ambienti occidentali. A Roma concluse la sua vita Cirillo (14 febbraio 869) e fu sepolto nella Chiesa di san Clemente, mentre Metodio fu dal Papa ordinato arcivescovo dell'antica sede di Sirmio e fu inviato in Moravia per continuarvi la sua provvidenziale opera apostolica, proseguita con zelo e coraggio insieme ai suoi discepoli e in mezzo al suo popolo sino al termine della sua vita (6 aprile 885).

2. Cento anni fa il papa Leone XIII con l'enciclica «Grande Munus» ricordò a tutta la Chiesa gli straordinari meriti dei santi Cirillo e Metodio per la loro opera di evangelizzazione degli slavi. Dato però che in quest'anno la Chiesa ricorda solennemente il 1500° anniversario della nascita di san Benedetto, proclamato nel 1964 dal mio venerato predecessore, Paolo VI, patrono d'Europa, è parso che questa protezione nei riguardi di tutta l'Europa sarà meglio messa in risalto, se alla grande opera del santo patriarca d'occidente aggiungeremo i particolari meriti dei due santi fratelli, Cirillo e Metodio. A favore di questo ci sono molteplici ragioni di natura storica, sia di quella passata come di quella contemporanea, che hanno la loro garanzia sia teologica che ecclesiale, come pure culturale nella storia del nostro continente europeo. E perciò prima ancora che si chiuda quest'anno dedicato al particolare ricordo di san Benedetto, desidero che per il centenario della enciclica leoniana, si valorizzino tutte queste ragioni, mediante la presente proclamazione dei santi Cirillo e Metodio a compatroni d'Europa.

3. L'Europa, infatti, nel suo insieme geografico è per così dire frutto dell'azione di due correnti di tradizioni cristiane, alle quali si aggiungono anche due diverse, ma al tempo stesso profondamente complementari, forme di cultura. San Benedetto, il quale con il suo influsso ha abbracciato non solo l'Europa, prima di tutto occidentale e centrale, ma mediante i centri benedettini è arrivato anche negli altri continenti, si trova al centro stesso di quella corrente che parte da Roma, dalla sede dei successori di san Pietro. I santi fratelli da Tessalonica mettono in risalto prima il contributo dell'antica cultura greca e, in seguito, la portata dell'irradiazione della Chiesa di Costantinopoli e della tradizione orientale, la quale si è così profondamente iscritta nella spiritualità e nella cultura di tanti popoli e nazioni nella parte orientale del continente europeo.

Poiché oggi, dopo secoli di divisione della Chiesa tra oriente e occidente, tra Roma e Costantinopoli a partire dal Concilio Vaticano II sono stati intrapresi passi decisivi nella direzione della piena comunione, pare che la proclamazione dei santi Cirillo e Metodio a compatroni d'Europa, accanto a san Benedetto, corrisponda pienamente ai segni del nostro tempo. Specialmente se ciò avviene nell'anno nel quale le due Chiese, cattolica ed ortodossa, sono entrate nella tappa di un decisivo dialogo, che si è iniziato nell'isola di Patmos, legata alla tradizione di san Giovanni apostolo ed evangelista. Pertanto questo atto intende anche rendere memorabile tale data.

Questa proclamazione vuole in pari tempo essere una testimonianza, per gli uomini del nostro tempo, della preminenza dell'annuncio del Vangelo, affidato da Gesù Cristo alle Chiese, per il quale hanno faticato i due fratelli apostoli degli slavi. Tale annuncio è stato via e strumento di reciproca conoscenza e di unione fra i diversi popoli dell'Europa nascente, ed ha assicurato all'Europa di oggi un comune patrimonio spirituale e culturale.

4. Auspico, quindi, che per opera della misericordia della santissima Trinità, per l'intercessione della Madre di Dio e di tutti i santi, sparisca ciò che divide le Chiese come pure i popoli e le nazioni; e le diversità di tradizioni e di cultura dimostrino invece il reciproco completamento di una comune ricchezza.

Che la consapevolezza di questa spirituale ricchezza, diventata su strade diverse patrimonio delle singole società del continente europeo, aiuti le generazioni contemporanee a perseverare nel reciproco rispetto dei giusti diritti di ogni nazione e nella pace, non cessando di rendere i servizi necessari al bene comune di tutta l'umanità e al futuro dell'uomo su tutta la terra.

Pertanto, con sicura cognizione e mia matura deliberazione, nella pienezza della potestà apostolica, in forza di questa lettera ed in perpetuo costituisco e dichiaro celesti compatroni di tutta l'Europa presso Dio i santi Cirillo e Metodio, concedendo inoltre tutti gli onori ed i privilegi liturgici che competono, secondo il diritto, ai patroni principali dei luoghi.

Pace agli uomini di buona volontà!

Dato a Roma, presso san Pietro, sotto l'«anello del pescatore», il giorno 31 del mese di dicembre dell'anno 1980, terzo di Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II

LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI «MOTU PROPRIO»
PER LA PROCLAMAZIONE DI
SANTA BRIGIDA DI SVEZIA
SANTA CATERINA DA SIENA
E SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE
COMPATRONE D'EUROPA

GIOVANNI PAOLO PP. II
A PERPETUA MEMORIA

 

1. La speranza di costruire un mondo più giusto e più degno dell'uomo, acuita dall'attesa del terzo millennio ormai alle porte, non può prescindere dalla consapevolezza che a nulla varrebbero gli sforzi umani se non fossero accompagnati dalla grazia divina: « Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori » (Sal 127 [126], 1). Di questo non possono non tener conto anche quanti si pongono in questi anni il problema di dare all'Europa un nuovo assetto, che aiuti il vecchio Continente a far tesoro delle ricchezze della sua storia, rimuovendo le tristi eredità del passato, per rispondere con una originalità radicata nelle migliori tradizioni alle istanze del mondo che cambia.

Non c'è dubbio che, nella complessa storia dell'Europa, il cristianesimo rappresenti un elemento centrale e qualificante, consolidato sul saldo fondamento dell'eredità classica e dei molteplici contributi arrecati dagli svariati flussi etnico-culturali che si sono succeduti nei secoli. La fede cristiana ha plasmato la cultura del Continente e si è intrecciata in modo inestricabile con la sua storia, al punto che questa non sarebbe comprensibile se non si facesse riferimento alle vicende che hanno caratterizzato prima il grande periodo dell'evangelizzazione, e poi i lunghi secoli in cui il cristianesimo, pur nella dolorosa divisione tra Oriente ed Occidente, si è affermato come la religione degli Europei stessi. Anche nel periodo moderno e contemporaneo, quando l'unità religiosa è andata progressivamente frantumandosi sia per le ulteriori divisioni intercorse tra i cristiani sia per i processi di distacco della cultura dall'orizzonte della fede, il ruolo di quest'ultima ha continuato ad essere di non scarso rilievo.

Il cammino verso il futuro non può non tener conto di questo dato, e i cristiani sono chiamati a prenderne rinnovata coscienza per mostrarne le potenzialità permanenti. Essi hanno il dovere di offrire alla costruzione dell'Europa uno specifico contributo, che sarà tanto più valido ed efficace, quanto più essi sapranno rinnovarsi alla luce del Vangelo. Si faranno così continuatori di quella lunga storia di santità che ha attraversato le varie regioni d'Europa nel corso di questi due millenni, nei quali i santi ufficialmente riconosciuti non sono che i vertici proposti come modelli per tutti. Innumerevoli sono infatti i cristiani che con la loro vita retta ed onesta, animata dall'amore di Dio e del prossimo, hanno raggiunto nelle più diverse vocazioni consacrate e laicali una santità vera e grandemente diffusa, anche se nascosta.

2. La Chiesa non dubita che proprio questo tesoro di santità sia il segreto del suo passato e la speranza del suo futuro. È in esso che meglio si esprime il dono della Redenzione, grazie al quale l'uomo è riscattato dal peccato e riceve la possibilità della vita nuova in Cristo. È in esso che il Popolo di Dio in cammino nella storia trova un sostegno impareggiabile, sentendosi profondamente unito alla Chiesa gloriosa, che in Cielo canta le lodi dell'Agnello (cfr Ap 7, 9-10) mentre intercede per la comunità ancora pellegrina sulla terra. Per questo, fin dai tempi più antichi, i santi sono stati guardati dal Popolo di Dio come protettori e con una singolare prassi, cui certo non è estraneo l'influsso dello Spirito Santo, talvolta su istanza dei fedeli accolta dai Pastori, talaltra per iniziativa dei Pastori stessi, le singole Chiese, le regioni e persino i Continenti, sono stati affidati allo speciale patronato di alcuni Santi.

In questa prospettiva, celebrandosi la Seconda Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi, nell'imminenza del Grande Giubileo dell'anno 2000, mi è parso che i cristiani europei, mentre vivono con tutti i loro concittadini un trapasso epocale ricco di speranza e insieme non privo di preoccupazioni, possano trarre spirituale giovamento dalla contemplazione e dall'invocazione di alcuni santi che sono in qualche modo particolarmente rappresentativi della loro storia. Per questo, dopo opportuna consultazione, completando quanto feci il 31 dicembre 1980, quando dichiarai compatroni d'Europa, accanto a san Benedetto, due santi del primo Millennio, i fratelli Cirillo e Metodio, pionieri dell'evangelizzazione dell'Oriente, ho pensato di integrare la schiera dei celesti patroni con tre figure altrettanto emblematiche di momenti cruciali del secondo Millennio che volge al termine: santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena, santa Teresa Benedetta della Croce. Tre grandi sante, tre donne, che in diverse epoche — due nel cuore del Medioevo e una nel nostro secolo — si sono segnalate per l'amore operoso alla Chiesa di Cristo e la testimonianza resa alla sua Croce.

3. Naturalmente il panorama della santità è così vario e ricco, che la scelta di nuovi celesti patroni avrebbe potuto orientarsi anche verso altre degnissime figure, che ogni epoca e ogni regione possono vantare. Ritengo tuttavia particolarmente significativa l'opzione per questa santità dal volto femminile, nel quadro della provvidenziale tendenza che, nella Chiesa e nella società del nostro tempo, è venuta affermandosi con il sempre più chiaro riconoscimento della dignità e dei doni propri della donna.

In realtà la Chiesa non ha mancato, fin dai suoi albori, di riconoscere il ruolo e la missione della donna, purrisentendo talvolta dei condizionamenti di una cultura che non sempre ad essa prestava l'attenzione dovuta. Ma la comunità cristiana è progressivamente cresciuta anche su questo versante, e proprio il ruolo svolto dalla santità si è rivelato a tal fine decisivo. Un impulso costante è stato offerto dall'icona di Maria, la « donna ideale », la Madre di Cristo e della Chiesa. Ma anche il coraggio delle martiri, che hanno affrontato con sorprendente forza d'animo i più crudeli tormenti, la testimonianza delle donne impegnate con esemplare radicalità nella vita ascetica, la dedizione quotidiana di tante spose e madri in quella « chiesa domestica » che è la famiglia, i carismi di tante mistiche che hanno contribuito allo stesso approfondimento teologico, hanno offerto alla Chiesa un'indicazione preziosa per cogliere pienamente il disegno di Dio sulla donna. Esso del resto ha già in alcune pagine della Scrittura, e in particolare nell'atteggiamento di Cristo testimoniato nel Vangelo, la sua espressione inequivocabile. In questa linea si pone anche l'opzione di dichiarare santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena e santa Teresa Benedetta della Croce compatrone d'Europa.

Il motivo poi che mi ha orientato specificamente ad esse sta nella loro vita stessa. La loro santità, infatti, si espresse in circostanze storiche e nel contesto di ambiti « geografici » che le rendono particolarmente significative per il Continente europeo. Santa Brigida rinvia all'estremo Nord dell'Europa, dove il Continente quasi si raccoglie in unità con le altre parti del mondo, e donde ella partì per fare di Roma il suo approdo. Caterina da Siena è altrettanto nota per il ruolo che svolse in un tempo in cui il Successore di Pietro risiedeva ad Avignone, portando a compimento un'opera spirituale già iniziata da Brigida col farsi promotrice del suo ritorno alla sua sede propria presso la tomba del Principe degli Apostoli. Teresa Benedetta della Croce, infine, recentemente canonizzata, non solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d'Europa, ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire, gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l'adesione a Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell'uomo nell'immane vergogna della « shoah ». Essa è divenuta così l'espressione di un pellegrinaggio umano, culturale e religioso, che incarna il nucleo profondo della tragedia e delle speranze del Continente europeo.

4. La prima di queste tre grandi figure, Brigida, nacque da famiglia aristocratica nel 1303 a Finsta, nella regione svedese di Uppland. Ella è conosciuta soprattutto come mistica e fondatrice dell'Ordine del SS. Salvatore. Non bisogna tuttavia dimenticare che la prima parte della sua vita fu quella di una laica felicemente sposata con un pio cristiano dal quale ebbe otto figli. Indicandola come compatrona d'Europa, intendo far sì che la sentano vicina non soltanto coloro che hanno ricevuto la vocazione ad una vita di speciale consacrazione, ma anche coloro che sono chiamati alle ordinarie occupazioni della vita laicale nel mondo e soprattutto all'alta ed impegnativa vocazione di formare una famiglia cristiana. Senza lasciarsi fuorviare dalle condizioni di benessere del suo ceto sociale, ella visse col marito Ulf un'esperienza di coppia in cui l'amore sponsale si coniugò con la preghiera intensa, con lo studio della Sacra Scrittura, con la mortificazione, con la carità. Insieme fondarono un piccolo ospedale, dove assistevano frequentemente i malati. Brigida poi era solita servire personalmente i poveri. Al tempo stesso, fu apprezzata per le sue doti pedagogiche, che ebbe modo di esprimere nel periodo in cui fu richiesto il suo servizio alla corte di Stoccolma. Da questa esperienza matureranno i consigli che in diverse occasioni darà a principi e sovrani per la retta gestione dei loro compiti. Ma i primi a trarne vantaggio furono ovviamente i figli, e non a caso una delle figlie, Caterina, è venerata come Santa.

Ma questo periodo della sua vita familiare era solo una prima tappa. Il pellegrinaggio che fece col marito Ulf a Santiago di Compostela nel 1341 chiuse simbolicamente questa fase, preparando Brigida alla nuova vita che iniziò qualche anno dopo quando, con la morte dello sposo, avvertì la voce di Cristo che le affidava una nuova missione, guidandola passo passo con una serie di grazie mistiche straordinarie.

5. Lasciata la Svezia nel 1349, Brigida si stabilì a Roma, sede del Successore di Pietro. Il trasferimento in Italia costituì una tappa decisiva per l'allargamento non solo geografico e culturale, ma soprattutto spirituale, della mente e del cuore di Brigida. Molti luoghi dell'Italia la videro ancora pellegrina, desiderosa di venerare le reliquie dei santi. Fu così a Milano, Pavia, Assisi, Ortona, Bari, Benevento, Pozzuoli, Napoli, Salerno, Amalfi, al Santuario di san Michele Arcangelo sul Monte Gargano. L'ultimo pellegrinaggio, compiuto fra il 1371 e il 1372, la portò a varcare il Mediterraneo, in direzione della Terra santa, permettendole di abbracciare spiritualmente oltre i tanti luoghi sacri dell'Europa cattolica, le sorgenti stesse del cristianesimo nei luoghi santificati dalla vita e dalla morte del Redentore.

In realtà, più ancora che attraverso questo devoto pellegrinare, fu con il senso profondo del mistero di Cristo e della Chiesa che Brigida si rese partecipe della costruzione della comunità ecclesiale, in un momento notevolmente critico della sua storia. L'intima unione con Cristo fu infatti accompagnata da speciali carismi di rivelazione, che la resero un punto di riferimento per molte persone della Chiesa del suo tempo. In Brigida si avverte la forza della profezia. Talvolta i suoi toni sembrano un'eco di quelli degli antichi grandi profeti. Ella parla con sicurezza a principi e pontefici, svelando i disegni di Dio sugli avvenimenti storici. Non risparmia ammonizioni severe anche in tema di riforma morale del popolo cristiano e dello stesso clero (cfr Revelationes, IV, 49; cfr anche IV, 5). Alcuni aspetti della straordinaria produzione mistica suscitarono nel tempo comprensibili interrogativi, rispetto ai quali il discernimento ecclesiale si operò rinviando all'unica rivelazione pubblica, che ha in Cristo la sua pienezza e nella Sacra Scrittura la sua espressione normativa. Anche le esperienze dei grandi santi non sono infatti esenti dai quei limiti che sempre accompagnano l'umana recezione della voce di Dio.

Non v'è dubbio, tuttavia, che riconoscendo la santità di Brigida, la Chiesa, pur senza pronunciarsi sulle singole rivelazioni, ha accolto l'autenticità complessiva della sua esperienza interiore. Ella si presenta come una testimone significativa dello spazio che può avere nella Chiesa il carisma vissuto in piena docilità allo Spirito di Dio e nella piena conformità alle esigenze della comunione ecclesiale. In particolare, poi, essendosi le terre scandinave, patria di Brigida, distaccate dalla piena comunione con la sede di Roma nel corso delle tristi vicende del secolo XVI, la figura della Santa svedese resta un prezioso « legame » ecumenico, rafforzato anche dall'impegno in tal senso svolto dal suo Ordine.

6. Di poco posteriore è l'altra grande figura di donna, santa Caterina da Siena, il cui ruolo negli sviluppi della storia della Chiesa e nello stesso approfondimento dottrinale del messaggio rivelato ha avuto riconoscimenti significativi, che sono giunti fino all'attribuzione del titolo di dottore della Chiesa.

Nata a Siena nel 1347, fu favorita sin dalla prima infanzia di straordinarie grazie che le permisero di compiere, sulla via spirituale tracciata da san Domenico, un rapido cammino di perfezione tra preghiera, austerità e opere di carità. Aveva vent'anni quando Cristo le manifestò la sua predilezione attraverso il mistico simbolo dell'anello sponsale. Era il coronamento di un'intimità maturata nel nascondimento e nella contemplazione, grazie alla costante permanenza, pur al di fuori delle mura di un monastero, entro quella spirituale dimora che ella amava chiamare la « cella interiore ». Il silenzio di questa cella, rendendola docilissima alle divine ispirazioni, poté coniugarsi ben presto con un'operosità apostolica che ha dello straordinario. Molti, anche chierici, si raccolsero intorno a lei come discepoli, riconoscendole il dono di una spirituale maternità. Le sue lettere si diramarono per l'Italia e per l'Europa stessa. La giovane senese entrò infatti con piglio sicuro e parole ardenti nel vivo delle problematiche ecclesiali e sociali della sua epoca.

Instancabile fu l'impegno che Caterina profuse per la soluzione dei molteplici conflitti che laceravano la società del suo tempo. La sua opera pacificatrice raggiunse sovrani europei quali Carlo V di Francia, Carlo di Durazzo, Elisabetta di Ungheria, Ludovico il Grande di Ungheria e di Polonia, Giovanna di Napoli. Significativa fu la sua azione per riconciliare Firenze con il Papa. Additando « Cristo crocifisso e Maria dolce » ai contendenti, ella mostrava che, per una società ispirata ai valori cristiani, mai poteva darsi motivo di contesa tanto grave da far preferire il ricorso alla ragione delle armi piuttosto che alle armi della ragione.

7. Caterina tuttavia sapeva bene che a tale conclusione non si poteva efficacemente pervenire, se gli animi non erano stati prima plasmati dal vigore stesso del Vangelo. Di qui l'urgenza della riforma dei costumi, che ella proponeva a tutti, senza eccezione. Ai re ricordava che non potevano governare come se il regno fosse loro « proprietà »: consapevoli di dover rendere conto a Dio della gestione del potere, essi dovevano piuttosto assumere il compito di mantenervi « la santa e vera giustizia », facendosi « padri dei poveri » (cfr Lettera n. 235 al Re di Francia). L'esercizio della sovranità non poteva infatti essere disgiunto da quello della carità, che è insieme anima della vita personale e della responsabilità politica (cfr Lettera n. 357 al re d'Ungheria).

Con la stessa forza Caterina si rivolgeva agli ecclesiastici di ogni rango, per chiedere la più severa coerenza nella loro vita e nel loro ministero pastorale. Fa una certa impressione il tono libero, vigoroso, tagliente, con cui ella ammonisce preti, vescovi, cardinali. Occorreva sradicare — ella diceva — dal giardino della Chiesa le piante fradicie sostituendole con « piante novelle » fresche e olezzanti. E forte della sua intimità con Cristo, la santa senese non temeva di indicare con franchezza allo stesso Pontefice, che amava teneramente come « dolce Cristo in terra », la volontà di Dio che gli imponeva di sciogliere le esitazioni dettate dalla prudenza terrena e dagli interessi mondani, per tornare da Avignone a Roma, presso la tomba di Pietro.

Con altrettanta passione, Caterina si prodigò poi per scongiurare le divisioni che sopraggiunsero nell'elezione papale successiva alla morte di Gregorio XI: anche in quella vicenda fece ancora una volta appello con ardore appassionato alle ragioni irrinunciabili della comunione. Era quello l'ideale supremo a cui aveva ispirato tutta la sua vita spendendosi senza riserva per la Chiesa. Sarà lei stessa a testimoniarlo ai suoi figli spirituali sul letto di morte: « Tenete per fermo, carissimi, che io ho dato la vita per la santa Chiesa » (Beato Raimondo da Capua, Vita di santa Caterina da Siena, Lib. III, c. IV).

8. Con Edith Stein — santa Teresa Benedetta della Croce — siamo in tutt'altro ambiente storico-culturale. Ella ci porta infatti nel vivo di questo nostro secolo tormentato, additando le speranze che esso ha acceso, ma anche le contraddizioni e i fallimenti che lo hanno segnato. Edith non viene, come Brigida e Caterina, da una famiglia cristiana. Tutto in lei esprime il tormento della ricerca e la fatica del « pellegrinaggio » esistenziale. Anche dopo essere approdata alla verità nella pace della vita contemplativa, ella dovette vivere fino in fondo il mistero della Croce.

Era nata nel 1891 in una famiglia ebraica di Breslau, allora territorio tedesco. L'interesse da lei sviluppato per la filosofia, abbandonando la pratica religiosa cui pur era stata iniziata dalla madre, avrebbe fatto presagire più che un cammino di santità, una vita condotta all'insegna del puro « razionalismo ». Ma la grazia la aspettava proprio nei meandri del pensiero filosofico: avviatasi sulla strada della corrente fenomenologica, ella seppe cogliervi l'istanza di una realtà oggettiva che, lungi dal risolversi nel soggetto, ne precede e misura la conoscenza, e va dunque esaminata con un rigoroso sforzo di obiettività. Occorre mettersi in ascolto di essa, cogliendola soprattutto nell'essere umano, in forza di quella capacità di « empatia » — parola a lei cara — che consente in certa misura di far proprio il vissuto altrui (cfr E. Stein, Il problema dell'empatia).

Fu in questa tensione di ascolto che ella si incontrò, da una parte con le testimonianze dell'esperienza spirituale cristiana offerte da santa Teresa d'Avila e da altri grandi mistici, dei quali divenne discepola ed emula, dall'altra con l'antica tradizione del pensiero cristiano consolidata nel tomismo. Su questa strada ella giunse dapprima al battesimo e poi alla scelta della vita contemplativa nell'ordine carmelitano. Tutto si svolse nel quadro di un itinerario esistenziale piuttosto movimentato, scandito, oltre che dalla ricerca interiore, anche da impegni di studio e di insegnamento, che ella svolse con ammirevole dedizione. Particolarmente apprezzabile, per i suoi tempi, fu la sua militanza a favore della promozione sociale della donna e davvero penetranti sono le pagine in cui ha esplorato la ricchezza della femminilità e la missione della donna sotto il profilo umano e religioso (cfr E. Stein, La donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia).

9. L'incontro col cristianesimo non la portò a ripudiare le sue radici ebraiche, ma piuttosto gliele fece riscoprire in pienezza. Questo tuttavia non le risparmiò l'incomprensione da parte dei suoi familiari. Soprattutto le procurò un dolore indicibile il dissenso della madre. In realtà, tutto il suo cammino di perfezione cristiana si svolse all'insegna non solo della solidarietà umana con il suo popolo d'origine, ma anche di una vera condivisione spirituale con la vocazione dei figli di Abramo, segnati dal mistero della chiamata e dei « doni irrevocabili » di Dio (cfr Rm 11, 29).

In particolare, ella fece propria la sofferenza del popolo ebraico, a mano a mano che questa si acuì in quella feroce persecuzione nazista che resta, accanto ad altre gravi espressioni del totalitarismo, una delle macchie più oscure e vergognose dell'Europa del nostro secolo. Sentì allora che, nello sterminio sistematico degli ebrei, la croce di Cristo veniva addossata al suo popolo e visse come personale partecipazione ad essa la sua deportazione ed esecuzione nel tristemente famoso campo di Auschwzitz-Birkenau. Il suo grido si fonde con quello di tutte le vittime di quella immane tragedia, unito però al grido di Cristo, che assicura alla sofferenza umana una misteriosa e perenne fecondità. La sua immagine di santità resta per sempre legata al dramma della sua morte violenta, accanto ai tanti che la subirono con lei. E resta come annuncio del vangelo della Croce, con cui ella si volle immedesimare nel suo stesso nome di religiosa.

Noi guardiamo oggi a Teresa Benedetta della Croce riconoscendo nella sua testimonianza di vittima innocente, da una parte, l'imitazione dell'Agnello Immolato e la protesta levata contro tutte le violazioni dei diritti fondamentali della persona, dall'altra, il pegno di quel rinnovato incontro di ebrei e cristiani, che nella linea auspicata dal Concilio Vaticano II, sta conoscendo una promettente stagione di reciproca apertura. Dichiarare oggi Edith Stein compatrona d'Europa significa porre sull'orizzonte del vecchio Continente un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza, che invita uomini e donne a comprendersi e ad accettarsi al di là delle diversità etniche, culturali e religiose, per formare una società veramente fraterna.

10. Cresca, dunque, l'Europa! Cresca come Europa dello spirito, sulla scia della sua storia migliore, che ha proprio nella santità la sua espressione più alta. L'unità del Continente, che sta progressivamente maturando nelle coscienze e sta definendosi sempre più nettamente anche sul versante politico, incarna certamente una prospettiva di grande speranza. Gli Europei sono chiamati a lasciarsi definitivamente alle spalle le storiche rivalità che hanno fatto spesso del loro Continente il teatro di guerre devastanti. Al tempo stesso essi devono impegnarsi a creare le condizioni di una maggiore coesione e collaborazione tra i popoli. Davanti a loro sta la grande sfida di costruire una cultura e un'etica dell'unità, in mancanza delle quali qualunque politica dell'unità è destinata prima o poi a naufragare.

Per edificare su solide basi la nuova Europa non basta certo fare appello ai soli interessi economici, che se talvolta aggregano, altre volte dividono, ma è necessario far leva piuttosto sui valori autentici, che hanno il loro fondamento nella legge morale universale, inscritta nel cuore di ogni uomo. Un'Europa che scambiasse il valore della tolleranza e del rispetto universale con l'indifferentismo etico e lo scetticismo sui valori irrinunciabili, si aprirebbe alle più rischiose avventure e vedrebbe prima o poi riapparire sotto nuove forme gli spettri più paurosi della sua storia.

A scongiurare questa minaccia, ancora una volta si prospetta vitale il ruolo del cristianesimo, che instancabilmente addita l'orizzonte ideale. Alla luce anche dei molteplici punti di incontro con le altre religioni che il Concilio Vaticano II ha ravvisato (cfr Decreto Nostra Aetate), si deve sottolineare con forza che l'apertura al Trascendente è una dimensione vitale dell'esistenza. Essenziale è, pertanto, un rinnovato impegno di testimonianza da parte di tutti i cristiani, presenti nelle varie Nazioni del Continente. Ad essi spetta alimentare la speranza di una salvezza piena con l'annuncio che è loro proprio, quello del Vangelo, ossia la « buona notizia » che Dio si è fatto vicino a noi e nel Figlio Gesù Cristo ci ha offerto la redenzione e la pienezza della vita divina. In forza dello Spirito che ci è stato donato, noi possiamo levare a Dio il nostro sguardo e invocarlo col dolce nome di « Abba », Padre! (cfr Rm 8, 15; Gal 4, 6).

11. Proprio questo annuncio di speranza ho inteso avvalorare additando a una rinnovata devozione, in prospettiva « europea », queste tre grandi figure di donne, che in epoche diverse hanno dato un contributo così significativo alla crescita non solo della Chiesa, ma della stessa società.

Per quella comunione dei santi, che unisce misteriosamente la Chiesa terrena a quella celeste, esse si fanno carico di noi nella loro perenne intercessione davanti al trono di Dio. Al tempo stesso, l'invocazione più intensa ed il riferimento più assiduo ed attento alle loro parole ed ai loro esempi non possono non risvegliare in noi una più acuta consapevolezza della nostra comune vocazione alla santità, spingendoci a conseguenti propositi di impegno più generoso.

Pertanto, dopo matura considerazione, in forza della mia potestà apostolica, costituisco e dichiaro celesti Compatrone di tutta l'Europa presso Dio santa Brigida di Svezia, santa Caterina da Siena, santa Teresa Benedetta della Croce, concedendo tutti gli onori e i privilegi liturgici che competono secondo il diritto ai patroni principali dei luoghi.

Sia gloria alla Santissima Trinità, che rifulge in modo singolare nella loro vita e nella vita di tutti i santi. Sia pace agli uomini di buona volontà, in Europa e nel mondo intero.

Dato a Roma, presso san Pietro, il 1° ottobre dell'anno 1999, ventunesimo di Pontificato.

GIOVANNI PAOLO II