DOCUMENTI PONTIFICI
PAOLO VI
PACIS NUNTIUS
LETTERA APOSTOLICA
SAN BENEDETTO ABATE VIENE PROCLAMATO
PATRONO PRINCIPALE DELL'INTERA EUROPA
A PERPETUA MEMORIA
Messaggero di pace,
realizzatore di unione, maestro di civiltà, e soprattutto araldo
della religione di Cristo e fondatore della vita monastica in
Occidente: questi i giusti titoli della esaltazione di san
Benedetto Abate. Al crollare dell'Impero Romano, ormai esausto,
mentre alcune regioni d'Europa sembravano cadere nelle tenebre e
altre erano ancora prive di civiltà e di valori spirituali, fu
lui con costante e assiduo impegno a far nascere in questo
nostro continente l'aurora di una nuova èra. Principalmente lui
e i suoi figli portarono con la croce, con il libro e con
l'aratro il progresso cristiano alle popolazioni sparse dal
Mediterraneo alla Scandinavia, dall'Irlanda alle pianure della
Polonia (Cf AAS 39 (1947), p. 453). Con la croce, cioè con la
legge di Cristo, diede consistenza e sviluppo agli ordinamenti
della vita pubblica e privata. A tal fine va ricordato che egli
insegnò all'umanità il primato del culto divino per mezzo
dell'«opus Dei», ossia della preghiera liturgica e rituale. Fu
così che egli cementò quell'unità spirituale in Europa in forza
della quale popoli divisi sul piano linguistico, etnico e
culturale avvertirono di costituire l'unico popolo di Dio; unità
che, grazie allo sforzo costante di quei monaci che si misero al
seguito di sì insigne maestro, divenne la caratteristica
distintiva del Medio Evo.
Questa unità che, come
afferma sant'Agostino, è «esemplare e tipo di bellezza assoluta»
(Cf Ep. 18, 2: PL 33, 85), purtroppo spezzata in
un groviglio di eventi storici, tutti gli uomini di buona
volontà dei tempi nostri tentano di ricomporre. Col libro, poi,
ossia con la cultura, lo stesso san Benedetto, da cui tanti
monasteri attinsero denominazioni e vigore, salvò con
provvidenziale sollecitudine, nel momento in cui il patrimonio
umanistico stava disperdendosi, la tradizione classica degli
antichi, trasmettendola intatta ai posteri e restaurando il
culto del sapere. Fu con l'aratro, infine, cioè con la
coltivazione dei campi e con altre iniziative analoghe, che
riuscì a trasformare terre deserte e inselvatichite in campi
fertilissimi e in graziosi giardini; e unendo la preghiera al
lavoro materiale, secondo il suo famoso motto «ora et labora»,
nobilitò ed elevò la fatica umana. Giustamente perciò Pio XII
salutò san Benedetto «padre dell'Europa» (Cf AAS loc. mem.); in
quanto ai popoli di questo continente egli ispirò quella cura
amorosa dell'ordine e della giustizia come base della vera
socialità. Lo stesso Predecessore Nostro desiderò che Dio, per i
meriti di questo grande santo, assecondasse gli sforzi di quanti
cercano di affratellare queste nazioni europee. Anche Giovanni
XXIII, nella sua paterna sollecitudine, desiderò vivamente che
ciò avvenisse.
È quindi naturale che pure
Noi, a questo movimento, tendente al raggiungimento dell'unità
europea, diamo il Nostro pieno assenso. Per questo abbiamo
accolto volentieri le istanze di molti Cardinali, Arcivescovi,
Vescovi, Superiori Generali di Ordini religiosi, Rettori di
Università e di altri insigni rappresentanti del laicato di
varie nazioni europee per dichiarare san Benedetto Patrono
d'Europa. E per questa solenne proclamazione Ci si presenta
quanto mai opportuna la data di oggi in cui riconsacriamo a Dio,
in onore della Vergine santissima e di san Benedetto, il tempio
di Montecassino che, distrutto nel 1944 durante il terribile
conflitto mondiale, è stato ricostruito dalla tenacia della
pietà cristiana. Il che facciamo ben volentieri, ripetendo il
gesto di alcuni Nostri Predecessori, che personalmente vollero
procedere nel corso dei secoli alla dedicazione di questo centro
di spiritualità monastica, reso famoso dal sepolcro di san
Benedetto. Sia dunque un così insigne santo ad esaudire i nostri
voti e, come egli un tempo con la luce della civiltà cristiana
riuscì a fugare le tenebre e a irradiare il dono della pace,
così ora presieda, all'intera vita europea e con la sua
intercessione la sviluppi e l'incrementi sempre più.
Pertanto, su proposta della
Sacra Congregazione dei Riti, dopo attenta considerazione, in
virtù del Nostro potere apostolico, con il presente Breve e in
perpetuo costituiamo e proclamiamo san Benedetto Abate celeste
Patrono principale dell'intera Europa, concedendo ogni onore e
privilegio liturgico, spettante di diritto ai Protettori
primari. Nonostante ogni disposizione in contrario. Questo
rendiamo noto e stabiliamo, decidendo che la presente Lettera
resti valida ed efficace, che ottenga i suoi pieni ed integrali
effetti e sia rispettata da quanti essa riguarda o riguarderà in
futuro; così pure sia ad essa conforme qualunque giudizio o
definizione; e fin d'ora sia invalido qualunque atto contrario
da chiunque e da qualunque autorità fosse posto, coscientemente
o per ignoranza.
Dato a Roma, presso San
Pietro, i1 24 ottobre dell'anno 1964, secondo del Nostro
Pontificato.
PAOLO PP. VI
LETTERA APOSTOLICA
EGREGIAE VIRTUTIS
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
PER LA PROCLAMAZIONE DEI
DEI SANTI CIRILLO E METODIO
COMPATRONI D'EUROPA
1. Alle illustri figure dei santi Cirillo e Metodio si
rivolgono di nuovo i pensieri ed i cuori in quest'anno in cui
ricorrono due centenari particolarmente significativi. Si
compiono infatti cent'anni dalla pubblicazione della lettera
enciclica «Grande
Munus» del 30 settembre 1880, con la quale il grande
pontefice Leone XIII ricordava a tutta la Chiesa le figure e
l'attività apostolica di questi due santi e, al tempo stesso, ne
introduceva la festività liturgica nel calendario della Chiesa
cattolica (Leonis XIII «Acta», vol. II, pp. 125-137). Ricorre
inoltre l'XI centenario della lettera «Industriae Tuae» (cfr.
«Magna Moraviae Fontes Historici», t. III, Brno 1969, pp.
197-208), inviata dal mio predecessore Giovanni VIII al principe
Svatopluk nel giugno dell'anno 880, nella quale veniva lodato e
raccomandato l'uso della lingua slava nella liturgia, affinché
«in quella lingua fossero proclamate le lodi e le opere di
Cristo nostro Signore» (cfr. «Magna Moraviae Fontes Historici»,
t. III, Brno 1969, p. 207).
Cirillo e Metodio, fratelli, greci, nativi di Tessalonica, la
città dove visse e operò san Paolo, fin dall'inizio della loro
vocazione, entrarono in stretti rapporti culturali e spirituali
con la Chiesa patriarcale di Costantinopoli, allora fiorente per
cultura e attività missionaria alla cui alta scuola essi si
formarono (cfr. «Costantinus et Methodius Thessalonicenses,
Fontes»). Entrambi avevano scelto lo stato religioso unendo i
doveri della vocazione religiosa con il servizio missionario, di
cui diedero una prima testimonianza recandosi ad evangelizzare i
Cazari della Crimea.
La loro preminente opera evangelizzatrice fu, tuttavia, la
missione nella Grande Moravia tra i popoli, che abitavano allora
la penisola balcanica e le terre percorse dal Danubio; essa fu
intrapresa su richiesta del principe di Moravia Roscislaw,
presentata all'imperatore e alla Chiesa di Costantinopoli. Per
corrispondere alle necessità del loro servizio apostolico in
mezzo ai popoli slavi tradussero nella loro lingua i libri sacri
a scopo liturgico e catechetico, gettando con questo le basi di
tutta la letteratura nelle lingue dei medesimi popoli.
Giustamente perciò essi sono considerati non solo gli apostoli
degli slavi ma anche i padri della cultura tra tutti questi
popoli e tutte queste nazioni, per i quali i primi scritti della
lingua slava non cessano di essere il punto fondamentale di
riferimento nella storia della loro letteratura.
Cirillo e Metodio svolsero il loro servizio missionario in
unione sia con la Chiesa di Costantinopoli, dalla quale erano
stati mandati, sia con la sede romana di Pietro, dalla quale
furono confermati, manifestando in questo modo l'unità della
Chiesa, che durante il periodo della loro vita e della loro
attività non era colpita dalla sventura della divisione tra
l'oriente e l'occidente, nonostante le gravi tensioni, che, in
quel tempo, segnarono le relazioni fra Roma e Costantinopoli.
A Roma Cirillo e Metodio furono accolti con onore dal Papa e
dalla Chiesa romana e trovarono approvazione e appoggio per
tutta la loro opera apostolica ed anche per la loro innovazione
di celebrare la liturgia nella lingua slava, osteggiata in
alcuni ambienti occidentali. A Roma concluse la sua vita Cirillo
(14 febbraio 869) e fu sepolto nella Chiesa di san Clemente,
mentre Metodio fu dal Papa ordinato arcivescovo dell'antica sede
di Sirmio e fu inviato in Moravia per continuarvi la sua
provvidenziale opera apostolica, proseguita con zelo e coraggio
insieme ai suoi discepoli e in mezzo al suo popolo sino al
termine della sua vita (6 aprile 885).
2. Cento anni fa il papa Leone XIII con l'enciclica «Grande
Munus» ricordò a tutta la Chiesa gli straordinari meriti dei
santi Cirillo e Metodio per la loro opera di evangelizzazione
degli slavi. Dato però che in quest'anno la Chiesa ricorda
solennemente il 1500° anniversario della nascita di san
Benedetto, proclamato nel 1964 dal mio venerato predecessore,
Paolo VI, patrono d'Europa, è parso che questa protezione nei
riguardi di tutta l'Europa sarà meglio messa in risalto, se alla
grande opera del santo patriarca d'occidente aggiungeremo i
particolari meriti dei due santi fratelli, Cirillo e Metodio. A
favore di questo ci sono molteplici ragioni di natura storica,
sia di quella passata come di quella contemporanea, che hanno la
loro garanzia sia teologica che ecclesiale, come pure culturale
nella storia del nostro continente europeo. E perciò prima
ancora che si chiuda quest'anno dedicato al particolare ricordo
di san Benedetto, desidero che per il centenario della enciclica
leoniana, si valorizzino tutte queste ragioni, mediante la
presente proclamazione dei santi Cirillo e Metodio a compatroni
d'Europa.
3. L'Europa, infatti, nel suo insieme geografico è per così
dire frutto dell'azione di due correnti di tradizioni cristiane,
alle quali si aggiungono anche due diverse, ma al tempo stesso
profondamente complementari, forme di cultura. San Benedetto, il
quale con il suo influsso ha abbracciato non solo l'Europa,
prima di tutto occidentale e centrale, ma mediante i centri
benedettini è arrivato anche negli altri continenti, si trova al
centro stesso di quella corrente che parte da Roma, dalla sede
dei successori di san Pietro. I santi fratelli da Tessalonica
mettono in risalto prima il contributo dell'antica cultura greca
e, in seguito, la portata dell'irradiazione della Chiesa di
Costantinopoli e della tradizione orientale, la quale si è così
profondamente iscritta nella spiritualità e nella cultura di
tanti popoli e nazioni nella parte orientale del continente
europeo.
Poiché oggi, dopo secoli di divisione della Chiesa tra
oriente e occidente, tra Roma e Costantinopoli a partire dal
Concilio Vaticano II sono stati intrapresi passi decisivi nella
direzione della piena comunione, pare che la proclamazione dei
santi Cirillo e Metodio a compatroni d'Europa, accanto a san
Benedetto, corrisponda pienamente ai segni del nostro tempo.
Specialmente se ciò avviene nell'anno nel quale le due Chiese,
cattolica ed ortodossa, sono entrate nella tappa di un decisivo
dialogo, che si è iniziato nell'isola di Patmos, legata alla
tradizione di san Giovanni apostolo ed evangelista. Pertanto
questo atto intende anche rendere memorabile tale data.
Questa proclamazione vuole in pari tempo essere una
testimonianza, per gli uomini del nostro tempo, della preminenza
dell'annuncio del Vangelo, affidato da Gesù Cristo alle Chiese,
per il quale hanno faticato i due fratelli apostoli degli slavi.
Tale annuncio è stato via e strumento di reciproca conoscenza e
di unione fra i diversi popoli dell'Europa nascente, ed ha
assicurato all'Europa di oggi un comune patrimonio spirituale e
culturale.
4. Auspico, quindi, che per opera della misericordia della
santissima Trinità, per l'intercessione della Madre di Dio e di
tutti i santi, sparisca ciò che divide le Chiese come pure i
popoli e le nazioni; e le diversità di tradizioni e di cultura
dimostrino invece il reciproco completamento di una comune
ricchezza.
Che la consapevolezza di questa spirituale ricchezza,
diventata su strade diverse patrimonio delle singole società del
continente europeo, aiuti le generazioni contemporanee a
perseverare nel reciproco rispetto dei giusti diritti di ogni
nazione e nella pace, non cessando di rendere i servizi
necessari al bene comune di tutta l'umanità e al futuro
dell'uomo su tutta la terra.
Pertanto, con sicura cognizione e mia matura deliberazione,
nella pienezza della potestà apostolica, in forza di questa
lettera ed in perpetuo costituisco e dichiaro celesti compatroni
di tutta l'Europa presso Dio i santi Cirillo e Metodio,
concedendo inoltre tutti gli onori ed i privilegi liturgici che
competono, secondo il diritto, ai patroni principali dei luoghi.
Pace agli uomini di buona volontà!
Dato a Roma, presso san Pietro, sotto l'«anello del
pescatore», il giorno 31 del mese di dicembre dell'anno 1980,
terzo di Pontificato.
GIOVANNI PAOLO II
LETTERA APOSTOLICA
IN FORMA DI «MOTU PROPRIO»
PER LA PROCLAMAZIONE DI
SANTA BRIGIDA DI SVEZIA
SANTA CATERINA DA SIENA
E SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE
COMPATRONE D'EUROPA
GIOVANNI PAOLO PP. II
A PERPETUA MEMORIA
1. La speranza di costruire un mondo più giusto e più degno
dell'uomo, acuita dall'attesa del terzo millennio ormai alle
porte, non può prescindere dalla consapevolezza che a nulla
varrebbero gli sforzi umani se non fossero accompagnati dalla
grazia divina: « Se il Signore non costruisce la casa, invano vi
faticano i costruttori » (Sal 127 [126], 1). Di questo
non possono non tener conto anche quanti si pongono in questi
anni il problema di dare all'Europa un nuovo assetto, che aiuti
il vecchio Continente a far tesoro delle ricchezze della sua
storia, rimuovendo le tristi eredità del passato, per rispondere
con una originalità radicata nelle migliori tradizioni alle
istanze del mondo che cambia.
Non c'è dubbio che, nella complessa storia dell'Europa, il
cristianesimo rappresenti un elemento centrale e qualificante,
consolidato sul saldo fondamento dell'eredità classica e dei
molteplici contributi arrecati dagli svariati flussi
etnico-culturali che si sono succeduti nei secoli. La fede
cristiana ha plasmato la cultura del Continente e si è
intrecciata in modo inestricabile con la sua storia, al punto
che questa non sarebbe comprensibile se non si facesse
riferimento alle vicende che hanno caratterizzato prima il
grande periodo dell'evangelizzazione, e poi i lunghi secoli in
cui il cristianesimo, pur nella dolorosa divisione tra Oriente
ed Occidente, si è affermato come la religione degli Europei
stessi. Anche nel periodo moderno e contemporaneo, quando
l'unità religiosa è andata progressivamente frantumandosi sia
per le ulteriori divisioni intercorse tra i cristiani sia per i
processi di distacco della cultura dall'orizzonte della fede, il
ruolo di quest'ultima ha continuato ad essere di non scarso
rilievo.
Il cammino verso il futuro non può non tener conto di questo
dato, e i cristiani sono chiamati a prenderne rinnovata
coscienza per mostrarne le potenzialità permanenti. Essi hanno
il dovere di offrire alla costruzione dell'Europa uno specifico
contributo, che sarà tanto più valido ed efficace, quanto più
essi sapranno rinnovarsi alla luce del Vangelo. Si faranno così
continuatori di quella lunga storia di santità che ha
attraversato le varie regioni d'Europa nel corso di questi due
millenni, nei quali i santi ufficialmente riconosciuti non sono
che i vertici proposti come modelli per tutti. Innumerevoli sono
infatti i cristiani che con la loro vita retta ed onesta,
animata dall'amore di Dio e del prossimo, hanno raggiunto nelle
più diverse vocazioni consacrate e laicali una santità vera e
grandemente diffusa, anche se nascosta.
2. La Chiesa non dubita che proprio questo tesoro di santità
sia il segreto del suo passato e la speranza del suo futuro. È
in esso che meglio si esprime il dono della Redenzione, grazie
al quale l'uomo è riscattato dal peccato e riceve la possibilità
della vita nuova in Cristo. È in esso che il Popolo di Dio in
cammino nella storia trova un sostegno impareggiabile,
sentendosi profondamente unito alla Chiesa gloriosa, che in
Cielo canta le lodi dell'Agnello (cfr Ap 7, 9-10) mentre
intercede per la comunità ancora pellegrina sulla terra. Per
questo, fin dai tempi più antichi, i santi sono stati guardati
dal Popolo di Dio come protettori e con una singolare prassi,
cui certo non è estraneo l'influsso dello Spirito Santo,
talvolta su istanza dei fedeli accolta dai Pastori, talaltra per
iniziativa dei Pastori stessi, le singole Chiese, le regioni e
persino i Continenti, sono stati affidati allo speciale
patronato di alcuni Santi.
In questa prospettiva, celebrandosi la Seconda Assemblea
speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi, nell'imminenza del
Grande Giubileo dell'anno 2000, mi è parso che i cristiani
europei, mentre vivono con tutti i loro concittadini un trapasso
epocale ricco di speranza e insieme non privo di preoccupazioni,
possano trarre spirituale giovamento dalla contemplazione e
dall'invocazione di alcuni santi che sono in qualche modo
particolarmente rappresentativi della loro storia. Per questo,
dopo opportuna consultazione, completando quanto feci il 31
dicembre 1980, quando dichiarai compatroni d'Europa, accanto a
san Benedetto, due santi del primo Millennio, i fratelli Cirillo
e Metodio, pionieri dell'evangelizzazione dell'Oriente, ho
pensato di integrare la schiera dei celesti patroni con tre
figure altrettanto emblematiche di momenti cruciali del secondo
Millennio che volge al termine: santa Brigida di Svezia, santa
Caterina da Siena, santa Teresa Benedetta della Croce. Tre
grandi sante, tre donne, che in diverse epoche — due nel cuore
del Medioevo e una nel nostro secolo — si sono segnalate per
l'amore operoso alla Chiesa di Cristo e la testimonianza resa
alla sua Croce.
3. Naturalmente il panorama della santità è così vario e
ricco, che la scelta di nuovi celesti patroni avrebbe potuto
orientarsi anche verso altre degnissime figure, che ogni epoca e
ogni regione possono vantare. Ritengo tuttavia particolarmente
significativa l'opzione per questa santità dal volto femminile,
nel quadro della provvidenziale tendenza che, nella Chiesa e
nella società del nostro tempo, è venuta affermandosi con il
sempre più chiaro riconoscimento della dignità e dei doni propri
della donna.
In realtà la Chiesa non ha mancato, fin dai suoi albori, di
riconoscere il ruolo e la missione della donna, purrisentendo
talvolta dei condizionamenti di una cultura che non sempre ad
essa prestava l'attenzione dovuta. Ma la comunità cristiana è
progressivamente cresciuta anche su questo versante, e proprio
il ruolo svolto dalla santità si è rivelato a tal fine decisivo.
Un impulso costante è stato offerto dall'icona di Maria, la «
donna ideale », la Madre di Cristo e della Chiesa. Ma anche il
coraggio delle martiri, che hanno affrontato con sorprendente
forza d'animo i più crudeli tormenti, la testimonianza delle
donne impegnate con esemplare radicalità nella vita ascetica, la
dedizione quotidiana di tante spose e madri in quella « chiesa
domestica » che è la famiglia, i carismi di tante mistiche che
hanno contribuito allo stesso approfondimento teologico, hanno
offerto alla Chiesa un'indicazione preziosa per cogliere
pienamente il disegno di Dio sulla donna. Esso del resto ha già
in alcune pagine della Scrittura, e in particolare
nell'atteggiamento di Cristo testimoniato nel Vangelo, la sua
espressione inequivocabile. In questa linea si pone anche
l'opzione di dichiarare santa Brigida di Svezia, santa Caterina
da Siena e santa Teresa Benedetta della Croce compatrone
d'Europa.
Il motivo poi che mi ha orientato specificamente ad esse sta
nella loro vita stessa. La loro santità, infatti, si espresse in
circostanze storiche e nel contesto di ambiti « geografici » che
le rendono particolarmente significative per il Continente
europeo. Santa Brigida rinvia all'estremo Nord dell'Europa, dove
il Continente quasi si raccoglie in unità con le altre parti del
mondo, e donde ella partì per fare di Roma il suo approdo.
Caterina da Siena è altrettanto nota per il ruolo che svolse in
un tempo in cui il Successore di Pietro risiedeva ad Avignone,
portando a compimento un'opera spirituale già iniziata da
Brigida col farsi promotrice del suo ritorno alla sua sede
propria presso la tomba del Principe degli Apostoli. Teresa
Benedetta della Croce, infine, recentemente canonizzata, non
solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d'Europa,
ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire,
gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l'adesione a
Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero
filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le
ragioni di Dio e dell'uomo nell'immane vergogna della « shoah ».
Essa è divenuta così l'espressione di un pellegrinaggio umano,
culturale e religioso, che incarna il nucleo profondo della
tragedia e delle speranze del Continente europeo.
4. La prima di queste tre grandi figure, Brigida, nacque da
famiglia aristocratica nel 1303 a Finsta, nella regione svedese
di Uppland. Ella è conosciuta soprattutto come mistica e
fondatrice dell'Ordine del SS. Salvatore. Non bisogna tuttavia
dimenticare che la prima parte della sua vita fu quella di una
laica felicemente sposata con un pio cristiano dal quale ebbe
otto figli. Indicandola come compatrona d'Europa, intendo far sì
che la sentano vicina non soltanto coloro che hanno ricevuto la
vocazione ad una vita di speciale consacrazione, ma anche coloro
che sono chiamati alle ordinarie occupazioni della vita laicale
nel mondo e soprattutto all'alta ed impegnativa vocazione di
formare una famiglia cristiana. Senza lasciarsi fuorviare dalle
condizioni di benessere del suo ceto sociale, ella visse col
marito Ulf un'esperienza di coppia in cui l'amore sponsale si
coniugò con la preghiera intensa, con lo studio della Sacra
Scrittura, con la mortificazione, con la carità. Insieme
fondarono un piccolo ospedale, dove assistevano frequentemente i
malati. Brigida poi era solita servire personalmente i poveri.
Al tempo stesso, fu apprezzata per le sue doti pedagogiche, che
ebbe modo di esprimere nel periodo in cui fu richiesto il suo
servizio alla corte di Stoccolma. Da questa esperienza
matureranno i consigli che in diverse occasioni darà a principi
e sovrani per la retta gestione dei loro compiti. Ma i primi a
trarne vantaggio furono ovviamente i figli, e non a caso una
delle figlie, Caterina, è venerata come Santa.
Ma questo periodo della sua vita familiare era solo una prima
tappa. Il pellegrinaggio che fece col marito Ulf a Santiago di
Compostela nel 1341 chiuse simbolicamente questa fase,
preparando Brigida alla nuova vita che iniziò qualche anno dopo
quando, con la morte dello sposo, avvertì la voce di Cristo che
le affidava una nuova missione, guidandola passo passo con una
serie di grazie mistiche straordinarie.
5. Lasciata la Svezia nel 1349, Brigida si stabilì a Roma,
sede del Successore di Pietro. Il trasferimento in Italia
costituì una tappa decisiva per l'allargamento non solo
geografico e culturale, ma soprattutto spirituale, della mente e
del cuore di Brigida. Molti luoghi dell'Italia la videro ancora
pellegrina, desiderosa di venerare le reliquie dei santi. Fu
così a Milano, Pavia, Assisi, Ortona, Bari, Benevento, Pozzuoli,
Napoli, Salerno, Amalfi, al Santuario di san Michele Arcangelo
sul Monte Gargano. L'ultimo pellegrinaggio, compiuto fra il 1371
e il 1372, la portò a varcare il Mediterraneo, in direzione
della Terra santa, permettendole di abbracciare spiritualmente
oltre i tanti luoghi sacri dell'Europa cattolica, le sorgenti
stesse del cristianesimo nei luoghi santificati dalla vita e
dalla morte del Redentore.
In realtà, più ancora che attraverso questo devoto
pellegrinare, fu con il senso profondo del mistero di Cristo e
della Chiesa che Brigida si rese partecipe della costruzione
della comunità ecclesiale, in un momento notevolmente critico
della sua storia. L'intima unione con Cristo fu infatti
accompagnata da speciali carismi di rivelazione, che la resero
un punto di riferimento per molte persone della Chiesa del suo
tempo. In Brigida si avverte la forza della profezia. Talvolta i
suoi toni sembrano un'eco di quelli degli antichi grandi
profeti. Ella parla con sicurezza a principi e pontefici,
svelando i disegni di Dio sugli avvenimenti storici. Non
risparmia ammonizioni severe anche in tema di riforma morale del
popolo cristiano e dello stesso clero (cfr Revelationes,
IV, 49; cfr anche IV, 5). Alcuni aspetti della straordinaria
produzione mistica suscitarono nel tempo comprensibili
interrogativi, rispetto ai quali il discernimento ecclesiale si
operò rinviando all'unica rivelazione pubblica, che ha in Cristo
la sua pienezza e nella Sacra Scrittura la sua espressione
normativa. Anche le esperienze dei grandi santi non sono infatti
esenti dai quei limiti che sempre accompagnano l'umana recezione
della voce di Dio.
Non v'è dubbio, tuttavia, che riconoscendo la santità di
Brigida, la Chiesa, pur senza pronunciarsi sulle singole
rivelazioni, ha accolto l'autenticità complessiva della sua
esperienza interiore. Ella si presenta come una testimone
significativa dello spazio che può avere nella Chiesa il carisma
vissuto in piena docilità allo Spirito di Dio e nella piena
conformità alle esigenze della comunione ecclesiale. In
particolare, poi, essendosi le terre scandinave, patria di
Brigida, distaccate dalla piena comunione con la sede di Roma
nel corso delle tristi vicende del secolo XVI, la figura della
Santa svedese resta un prezioso « legame » ecumenico, rafforzato
anche dall'impegno in tal senso svolto dal suo Ordine.
6. Di poco posteriore è l'altra grande figura di donna, santa
Caterina da Siena, il cui ruolo negli sviluppi della storia
della Chiesa e nello stesso approfondimento dottrinale del
messaggio rivelato ha avuto riconoscimenti significativi, che
sono giunti fino all'attribuzione del titolo di dottore della
Chiesa.
Nata a Siena nel 1347, fu favorita sin dalla prima infanzia
di straordinarie grazie che le permisero di compiere, sulla via
spirituale tracciata da san Domenico, un rapido cammino di
perfezione tra preghiera, austerità e opere di carità. Aveva
vent'anni quando Cristo le manifestò la sua predilezione
attraverso il mistico simbolo dell'anello sponsale. Era il
coronamento di un'intimità maturata nel nascondimento e nella
contemplazione, grazie alla costante permanenza, pur al di fuori
delle mura di un monastero, entro quella spirituale dimora che
ella amava chiamare la « cella interiore ». Il silenzio di
questa cella, rendendola docilissima alle divine ispirazioni,
poté coniugarsi ben presto con un'operosità apostolica che ha
dello straordinario. Molti, anche chierici, si raccolsero
intorno a lei come discepoli, riconoscendole il dono di una
spirituale maternità. Le sue lettere si diramarono per l'Italia
e per l'Europa stessa. La giovane senese entrò infatti con
piglio sicuro e parole ardenti nel vivo delle problematiche
ecclesiali e sociali della sua epoca.
Instancabile fu l'impegno che Caterina profuse per la
soluzione dei molteplici conflitti che laceravano la società del
suo tempo. La sua opera pacificatrice raggiunse sovrani europei
quali Carlo V di Francia, Carlo di Durazzo, Elisabetta di
Ungheria, Ludovico il Grande di Ungheria e di Polonia, Giovanna
di Napoli. Significativa fu la sua azione per riconciliare
Firenze con il Papa. Additando « Cristo crocifisso e Maria dolce
» ai contendenti, ella mostrava che, per una società ispirata ai
valori cristiani, mai poteva darsi motivo di contesa tanto grave
da far preferire il ricorso alla ragione delle armi piuttosto
che alle armi della ragione.
7. Caterina tuttavia sapeva bene che a tale conclusione non
si poteva efficacemente pervenire, se gli animi non erano stati
prima plasmati dal vigore stesso del Vangelo. Di qui l'urgenza
della riforma dei costumi, che ella proponeva a tutti, senza
eccezione. Ai re ricordava che non potevano governare come se il
regno fosse loro « proprietà »: consapevoli di dover rendere
conto a Dio della gestione del potere, essi dovevano piuttosto
assumere il compito di mantenervi « la santa e vera giustizia »,
facendosi « padri dei poveri » (cfr Lettera n. 235 al Re di
Francia). L'esercizio della sovranità non poteva infatti
essere disgiunto da quello della carità, che è insieme anima
della vita personale e della responsabilità politica (cfr
Lettera n. 357 al re d'Ungheria).
Con la stessa forza Caterina si rivolgeva agli ecclesiastici
di ogni rango, per chiedere la più severa coerenza nella loro
vita e nel loro ministero pastorale. Fa una certa impressione il
tono libero, vigoroso, tagliente, con cui ella ammonisce preti,
vescovi, cardinali. Occorreva sradicare — ella diceva — dal
giardino della Chiesa le piante fradicie sostituendole con «
piante novelle » fresche e olezzanti. E forte della sua intimità
con Cristo, la santa senese non temeva di indicare con
franchezza allo stesso Pontefice, che amava teneramente come «
dolce Cristo in terra », la volontà di Dio che gli imponeva di
sciogliere le esitazioni dettate dalla prudenza terrena e dagli
interessi mondani, per tornare da Avignone a Roma, presso la
tomba di Pietro.
Con altrettanta passione, Caterina si prodigò poi per
scongiurare le divisioni che sopraggiunsero nell'elezione papale
successiva alla morte di Gregorio XI: anche in quella vicenda
fece ancora una volta appello con ardore appassionato alle
ragioni irrinunciabili della comunione. Era quello l'ideale
supremo a cui aveva ispirato tutta la sua vita spendendosi senza
riserva per la Chiesa. Sarà lei stessa a testimoniarlo ai suoi
figli spirituali sul letto di morte: « Tenete per fermo,
carissimi, che io ho dato la vita per la santa Chiesa » (Beato
Raimondo da Capua, Vita di santa Caterina da Siena, Lib.
III, c. IV).
8. Con Edith Stein — santa Teresa Benedetta della Croce —
siamo in tutt'altro ambiente storico-culturale. Ella ci porta
infatti nel vivo di questo nostro secolo tormentato, additando
le speranze che esso ha acceso, ma anche le contraddizioni e i
fallimenti che lo hanno segnato. Edith non viene, come Brigida e
Caterina, da una famiglia cristiana. Tutto in lei esprime il
tormento della ricerca e la fatica del « pellegrinaggio »
esistenziale. Anche dopo essere approdata alla verità nella pace
della vita contemplativa, ella dovette vivere fino in fondo il
mistero della Croce.
Era nata nel 1891 in una famiglia ebraica di Breslau, allora
territorio tedesco. L'interesse da lei sviluppato per la
filosofia, abbandonando la pratica religiosa cui pur era stata
iniziata dalla madre, avrebbe fatto presagire più che un cammino
di santità, una vita condotta all'insegna del puro «
razionalismo ». Ma la grazia la aspettava proprio nei meandri
del pensiero filosofico: avviatasi sulla strada della corrente
fenomenologica, ella seppe cogliervi l'istanza di una realtà
oggettiva che, lungi dal risolversi nel soggetto, ne precede e
misura la conoscenza, e va dunque esaminata con un rigoroso
sforzo di obiettività. Occorre mettersi in ascolto di essa,
cogliendola soprattutto nell'essere umano, in forza di quella
capacità di « empatia » — parola a lei cara — che consente in
certa misura di far proprio il vissuto altrui (cfr E. Stein,
Il problema dell'empatia).
Fu in questa tensione di ascolto che ella si incontrò, da una
parte con le testimonianze dell'esperienza spirituale cristiana
offerte da santa Teresa d'Avila e da altri grandi mistici, dei
quali divenne discepola ed emula, dall'altra con l'antica
tradizione del pensiero cristiano consolidata nel tomismo. Su
questa strada ella giunse dapprima al battesimo e poi alla
scelta della vita contemplativa nell'ordine carmelitano. Tutto
si svolse nel quadro di un itinerario esistenziale piuttosto
movimentato, scandito, oltre che dalla ricerca interiore, anche
da impegni di studio e di insegnamento, che ella svolse con
ammirevole dedizione. Particolarmente apprezzabile, per i suoi
tempi, fu la sua militanza a favore della promozione sociale
della donna e davvero penetranti sono le pagine in cui ha
esplorato la ricchezza della femminilità e la missione della
donna sotto il profilo umano e religioso (cfr E. Stein, La
donna. Il suo compito secondo la natura e la grazia).
9. L'incontro col cristianesimo non la portò a ripudiare le
sue radici ebraiche, ma piuttosto gliele fece riscoprire in
pienezza. Questo tuttavia non le risparmiò l'incomprensione da
parte dei suoi familiari. Soprattutto le procurò un dolore
indicibile il dissenso della madre. In realtà, tutto il suo
cammino di perfezione cristiana si svolse all'insegna non solo
della solidarietà umana con il suo popolo d'origine, ma anche di
una vera condivisione spirituale con la vocazione dei figli di
Abramo, segnati dal mistero della chiamata e dei « doni
irrevocabili » di Dio (cfr Rm 11, 29).
In particolare, ella fece propria la sofferenza del popolo
ebraico, a mano a mano che questa si acuì in quella feroce
persecuzione nazista che resta, accanto ad altre gravi
espressioni del totalitarismo, una delle macchie più oscure e
vergognose dell'Europa del nostro secolo. Sentì allora che,
nello sterminio sistematico degli ebrei, la croce di Cristo
veniva addossata al suo popolo e visse come personale
partecipazione ad essa la sua deportazione ed esecuzione nel
tristemente famoso campo di Auschwzitz-Birkenau. Il suo grido si
fonde con quello di tutte le vittime di quella immane tragedia,
unito però al grido di Cristo, che assicura alla sofferenza
umana una misteriosa e perenne fecondità. La sua immagine di
santità resta per sempre legata al dramma della sua morte
violenta, accanto ai tanti che la subirono con lei. E resta come
annuncio del vangelo della Croce, con cui ella si volle
immedesimare nel suo stesso nome di religiosa.
Noi guardiamo oggi a Teresa Benedetta della Croce
riconoscendo nella sua testimonianza di vittima innocente, da
una parte, l'imitazione dell'Agnello Immolato e la protesta
levata contro tutte le violazioni dei diritti fondamentali della
persona, dall'altra, il pegno di quel rinnovato incontro di
ebrei e cristiani, che nella linea auspicata dal Concilio
Vaticano II, sta conoscendo una promettente stagione di
reciproca apertura. Dichiarare oggi Edith Stein compatrona
d'Europa significa porre sull'orizzonte del vecchio Continente
un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza, che
invita uomini e donne a comprendersi e ad accettarsi al di là
delle diversità etniche, culturali e religiose, per formare una
società veramente fraterna.
10. Cresca, dunque, l'Europa! Cresca come Europa dello
spirito, sulla scia della sua storia migliore, che ha proprio
nella santità la sua espressione più alta. L'unità del
Continente, che sta progressivamente maturando nelle coscienze e
sta definendosi sempre più nettamente anche sul versante
politico, incarna certamente una prospettiva di grande speranza.
Gli Europei sono chiamati a lasciarsi definitivamente alle
spalle le storiche rivalità che hanno fatto spesso del loro
Continente il teatro di guerre devastanti. Al tempo stesso essi
devono impegnarsi a creare le condizioni di una maggiore
coesione e collaborazione tra i popoli. Davanti a loro sta la
grande sfida di costruire una cultura e un'etica dell'unità, in
mancanza delle quali qualunque politica dell'unità è destinata
prima o poi a naufragare.
Per edificare su solide basi la nuova Europa non basta certo
fare appello ai soli interessi economici,
che se talvolta
aggregano, altre volte dividono, ma è necessario far leva
piuttosto sui valori autentici, che hanno il loro fondamento
nella legge morale universale, inscritta nel cuore di ogni uomo.
Un'Europa che scambiasse il valore della tolleranza e del
rispetto universale con l'indifferentismo etico e lo scetticismo
sui valori irrinunciabili, si aprirebbe alle più rischiose
avventure e vedrebbe prima o poi riapparire sotto nuove forme
gli spettri più paurosi della sua storia.
A scongiurare questa minaccia, ancora una volta si prospetta
vitale il ruolo del cristianesimo, che instancabilmente addita
l'orizzonte ideale. Alla luce anche dei molteplici punti di
incontro con le altre religioni che il Concilio Vaticano II ha
ravvisato (cfr Decreto
Nostra Aetate), si deve sottolineare con forza che
l'apertura al Trascendente è una dimensione vitale
dell'esistenza. Essenziale è, pertanto, un rinnovato impegno di
testimonianza da parte di tutti i cristiani, presenti nelle
varie Nazioni del Continente. Ad essi spetta alimentare la
speranza di una salvezza piena con l'annuncio che è loro
proprio, quello del Vangelo, ossia la « buona notizia » che Dio
si è fatto vicino a noi e nel Figlio Gesù Cristo ci ha offerto
la redenzione e la pienezza della vita divina. In forza dello
Spirito che ci è stato donato, noi possiamo levare a Dio il
nostro sguardo e invocarlo col dolce nome di « Abba », Padre!
(cfr Rm 8, 15; Gal 4, 6).
11. Proprio questo annuncio di speranza ho inteso avvalorare
additando a una rinnovata devozione, in prospettiva « europea »,
queste tre grandi figure di donne, che in epoche diverse hanno
dato un contributo così significativo alla crescita non solo
della Chiesa, ma della stessa società.
Per quella comunione dei santi, che unisce misteriosamente la
Chiesa terrena a quella celeste, esse si fanno carico di noi
nella loro perenne intercessione davanti al trono di Dio. Al
tempo stesso, l'invocazione più intensa ed il riferimento più
assiduo ed attento alle loro parole ed ai loro esempi non
possono non risvegliare in noi una più acuta consapevolezza
della nostra comune vocazione alla santità, spingendoci a
conseguenti propositi di impegno più generoso.
Pertanto, dopo matura considerazione, in forza della mia
potestà apostolica, costituisco e dichiaro celesti Compatrone di
tutta l'Europa presso Dio santa Brigida di Svezia, santa
Caterina da Siena, santa Teresa Benedetta della Croce,
concedendo tutti gli onori e i privilegi liturgici che competono
secondo il diritto ai patroni principali dei luoghi.
Sia gloria alla Santissima Trinità, che rifulge in modo
singolare nella loro vita e nella vita di tutti i santi. Sia
pace agli uomini di buona volontà, in Europa e nel mondo intero.
Dato a Roma, presso san Pietro, il 1° ottobre dell'anno
1999, ventunesimo di Pontificato.
GIOVANNI PAOLO II
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